


Exibart / www.exibart.com / 04.08.2017
THOMAS LANGE A PALERMO. ZAC –CANTIERI CULTURALI DELLA ZISA PALERMO by Marcello Carriero


Artribune / www.artribune.com / 20.07.2017
L’antologica di un giovane selvaggio. Thomas Lange a Palermo by Giusi Affronti

ANSA / www.ansa.it / 08.07.2017
Pittura: i quadri di Thomas Lange alla Zac di Palermo

POIUYT. Punto Zero | Mousse Magazine
Mousse Magazine / http://moussemagazine.it / 14.06.2017
“Point Zero. Critical practices in contemporary Italian photography” at MLZ Art Dep, Trieste

Exibart / www.exibart.com / 05.05.2017
POIUYT. DA PRONUNCIARE LIBERAMENTE. NE ABBIAMO PARLATO CON FRANCESCA LAZZARINI, CO-CURATRICE DEL PROGETTO FOTOGRAFICO IN MOSTRA DA MLZ ART DEP by Andrea Penzo + Cristina Fiore
L’Officiel Italia / www.lofficielitalia.com / 13.04.2017
POIUYT. Punto Zero. by Arianna Chierici
Il 18 marzo 2017, presso MLZ Art Dep a Trieste, inaugura la mostra Punto Zero. Pratiche critiche nella fotografia contemporanea italiana, prima tappa del progetto collettivo POIUYT.
POIUYT è una piattaforma di ricerca sulle immagini che si propone di diffondere un’attitudine critica verso questo linguaggio chiave del mondo contemporaneo, attraverso la riflessione, il confronto collettivo e la partecipazione.
Il progetto, supportato da MLZ Art Dep di Trieste, Galleria Michela Rizzo di Venezia e Metronom di Modena, prende il via con la mostra Punto Zero. Pratiche critiche nella fotografia contemporanea italiana.
La mostra presenta il gruppo composto dalle curatrici Francesca Lazzarini e Gaia Tedone e gli artisti Alessandro Sambini, Discipula e The Cool Couple nel momento in cui i loro interessi si intrecciano e la collaborazione ha inizio. Provenienti dal mondo della fotografia ma accomunati da una propensione a espanderne i confini, hanno dato vita alla piattaforma spinti dalla necessità di avviare una riflessione comune sul ruolo preponderante delle immagini nella società in rete e sulla loro valenza politica.
Punto Zero mette a sistema tre pratiche riconducibili a un percorso specifico, alternativo sia alla fotografia documentaria tradizionale che alle sperimentazioni stilistiche sul mezzo e basato anzi sull’integrazione di tali poli. In queste pratiche infatti, una forte componente di ricerca sui contenuti si affianca a una riflessione sulle conseguenze della scelta di determinati dispositivi. Costante trait d’union è inoltre la consapevolezza del valore politico che hanno le immagini, in quanto ingredienti base nel costruire le rappresentazioni del mondo e nel plasmare dunque la realtà stessa.
POIUYT è una piattaforma di ricerca sulle immagini che si propone di diffondere un’attitudine critica verso questo linguaggio chiave del mondo contemporaneo, attraverso la riflessione, il confronto collettivo e la partecipazione.
Il progetto, supportato da MLZ Art Dep di Trieste, Galleria Michela Rizzo di Venezia e Metronom di Modena, prende il via con la mostra Punto Zero. Pratiche critiche nella fotografia contemporanea italiana.
La mostra presenta il gruppo composto dalle curatrici Francesca Lazzarini e Gaia Tedone e gli artisti Alessandro Sambini, Discipula e The Cool Couple nel momento in cui i loro interessi si intrecciano e la collaborazione ha inizio. Provenienti dal mondo della fotografia ma accomunati da una propensione a espanderne i confini, hanno dato vita alla piattaforma spinti dalla necessità di avviare una riflessione comune sul ruolo preponderante delle immagini nella società in rete e sulla loro valenza politica.
Punto Zero mette a sistema tre pratiche riconducibili a un percorso specifico, alternativo sia alla fotografia documentaria tradizionale che alle sperimentazioni stilistiche sul mezzo e basato anzi sull’integrazione di tali poli. In queste pratiche infatti, una forte componente di ricerca sui contenuti si affianca a una riflessione sulle conseguenze della scelta di determinati dispositivi. Costante trait d’union è inoltre la consapevolezza del valore politico che hanno le immagini, in quanto ingredienti base nel costruire le rappresentazioni del mondo e nel plasmare dunque la realtà stessa.
Artribune / www.artribune.com / 13.04.2017
Per una politica della fotografia. Una collettiva a Trieste by Carlo Sala
La funzione politica dell’immagine e il suo potere di condizionare il reale sono i temi attorno a cui si sviluppa la mostra in corso presso la galleria triestina, che dà avvio alla piattaforma di ricerca POIUYT. Gli autori in mostra si appropriano delle strategie retoriche della comunicazione di massa per utilizzarle in senso critico: il collettivo Discipula (MFG Paltrinieri, Mirko Smerdel e Tommaso Tanini) ha creato le campagne di Aura, una immaginaria corporate che con le sue attività permea vari settori della vita, gestendo in modo privatistico i servizi dello stato sociale. Alessandro Sambini presenta la camera da letto con i “feticci” del fan di un game show televisivo dove i partecipanti si sfidano nel replicare i video trasmessi dai media. Infine il collettivo The Cool Couple (Niccolò Benetton e Simone Santilli) crea un intreccio fra le tendenze competitive e individualiste che si celano dietro la pratica della meditazione e la tematica ambientale dell’antropocene.
INSIDEART / insideart.eu / 16.03.2017
Sambini, Discipula e The Cool Couple lanciano Poiuyt, piattaforma di ricerca sulle immagini
Nel momento in cui i loro interessi si sono intrecciati, è iniziata la loro collaborazione. Stiamo parlando di Alessandro Sambini, Discipula e The Cool Couple pronti per presentare il loro ultimo progetto, Poiuyt ideato in collaborazione con Francesca Lazzarini e Gaia Tedone. Provenienti dal mondo della fotografia e accomunati dal desiderio di oltrepassarne i confini, hanno dato vita a una piattaforma di ricerca e sperimentazione sulle immagini. Il progetto, supportato da MLZ Art Dep di Trieste, Galleria Michela Rizzo di Venezia e Metronom di Modena, prende il via con la mostra, curata da Lazzarini e Tedone, Punto Zero. Pratiche critiche nella fotografia contemporanea italiana, che inaugura nello spazio espositivo triestino il 18 marzo alle ore 18.30.
L’accelerazione dello sviluppo tecnologico degli ultimi decenni ha cambiato radicalmente le modalità di produzione, distribuzione e fruizione delle immagini su scala globale, sollevando interrogativi sulla loro natura e aprendo nuove prospettive di ricerca in campo artistico. Così, attraverso il confronto collettivo e la partecipazione, gli artisti aprono una riflessione sul ruolo preponderante delle immagini nella società in rete e sulla loro valenza politica e si propongono di diffondere una capacità critica verso questo linguaggio chiave della realtà contemporanea. Le ricerche presentate in mostra sono accomunate dall’appropriazione di modelli esistenti in alcuni settori chiave della società odierna e la critica attraverso il loro inserimento in uno spazio espositivo.
Basta pensare all’installazione di Sambini che racchiude all’interno di un’ipotetica stanza di un fanatico diversi elementi relativi a Replay!, un gioco televisivo basato sul rifacimento di video virali ispirati a eventi resi iconici, come la morte di Saddam Hussein o gli atti iconoclasti nei luoghi di guerra. How Things Dream di Discipula si colloca invece nel mondo della cultura corporate attraverso Aura, un’azienda che vende servizi in vari ambiti e la cui identità è improntata sulla commistione tra ideologia californiana e promesse neoliberiste. Infine con l’installazione Karma Fails, primo capitolo del ciclo Turbulent Times, il duo The Cool Couple riflette sul boom delle filosofie orientali nella società occidentale e sull’uso delle tecniche di meditazione come spunto politico. Gli artisti si preparano a lanciare il sito web e presentare la prima di una serie di pubblicazioni legate alle attività della piattaforma l’11 maggio alle 12 alla Galleria Michela Rizzo di Venezia.
Info: www.mlzartdep.com
Artribune / www.artribune.com / 22.12.2016
Dialoghi di Estetica. Parola a Ettore Tripodi by Davide Dal Sasso
Dopo gli studi in Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, Ettore Tripodi sviluppa le sue ricerche, concentrandosi inizialmente sul disegno su carta, per poi passare alla pittura. È tra i fondatori di MammaFotogramma, un gruppo di artisti che si occupa principalmente di arti applicate (video, installazioni, percorsi multimediali, architettura). Il dialogo esplora alcuni temi che contraddistinguono il lavoro dell’artista: la costruzione dell’immagine, il rapporto tra pittura e narrazione, gli equilibri della composizione visiva e le libertà dell’immaginazione.
Le tue opere sembrano appartenere a un impianto quasi cinematografico, come se fossero fotogrammi estratti da una pellicola. Le immagini sono sospese tra passato e futuro. Quello che succede prima e dopo, è possibile solo nell’immaginazione di chi guarda l’opera. Forse proprio questo aspetto dei miei dipinti può ricordare un fotogramma cinematografico.
Come inizia il tuo lavoro di costruzione dell’immagine? Difficile dirlo con esattezza. Spesso all’inizio c’è un “binario preconcetto”, qualcosa che colpisce la mia attenzione e che mi porta a lavorare in una certa direzione.
Proviamo a entrare un po’ di più nel dettaglio. Alla base c’è una intuizione. Andando avanti con il lavoro questa si arricchisce attraverso la pratica in studio, le letture che accompagnano i primi disegni, le visite nei musei, il dialogo con le persone. Quando qualcosa ti ispira, poi lo trovi dappertutto. L’aspetto più interessante è che mentre il lavoro prende forma, tutto è in continua trasformazione. Alla fine, correre su questo binario vuol dire anche poter tradire il suo percorso, trovare la via per nuovi orizzonti.
La libertà immaginativa che offri al fruitore è legata alla dimensione narrativa che caratterizza i tuoi lavori – penso per esempio alla tua ultima personale allo Studio Cannaviello di Milano. Per te che cosa vuol dire narrare con le immagini? Provo a risponderti con una breve storia. C’è uno specchio in una stanza, davanti al quale accade qualcosa. Immaginiamoci che lo specchio “rimanga colpito” da quel fatto, e voglia parlare con un altro specchio di “quel che ha visto”. Il primo però è un vecchio specchio ingiallito e spanciato che deforma l’accaduto, aggiunge alcuni particolari alla narrazione e ne omette altri. Così l’immagine primigenia si perde nel racconto degli specchi come la parola si trasforma nel telefono senza fili. Ecco, per me è un po’ come andare a cercare una qualche immagine perduta nel fondo degli specchi.
Le tue sono immagini di piccolo formato, nelle quali ci si può perdere in storie apparentemente quotidiane. Come riesci a ottenere questo risultato? Di solito, per raccontare un soggetto ne propongo altri che possono parlare – indirettamente o direttamente – di esso, alternando diversi registri narrativi. In questo modo cerco di restituirne la complessità, le sue peculiarità quasi si trattasse di un prisma. E questo mi permette di trovare continuamente nuove direzioni.
La narrazione che proponi si può allora sviluppare solo per passaggi. Ciascuna opera che realizzo la penso come un frammento che può avere un rapporto con altri. Non escludo infatti che il senso del soggetto su cui lavoro possa anche essere colto guardandoli nel loro insieme, un frammento accanto all’altro.
Che cos’è per te un frammento? La pagina di un libro, un momento all’interno di una storia. Il frammento è un segno dell’interruzione di una narrazione. Mi hanno sempre attirato i frammenti di libro soprattutto perché favoriscono fraintendimenti dovuti alla mancanza dell’intera storia.
Parliamo un momento di questo fraintendimento, mi sembra cruciale nel tuo lavoro. Mi interessano molto le incrinature e la possibilità di raccontare qualcosa sottolineando il filtro con cui si racconta. Pensa a quando una persona ti racconta un film che ha visto, ti offre la sua visione della storia. Il suo possibile divagare è il frutto di una selezione che è anche una ricchezza.
Perché? Narrare vuol dire anche scegliere come raccontare la storia, quanta importanza dare a un soggetto o a un altro. Questo secondo me è un vantaggio in termini di offerta di pensiero: di una narrazione, alla fine di un’opera, si potranno cogliere aspetti che neanche l’autore poteva prevedere.
Consideriamo un momento la tecnica, che ruolo ha nel tuo lavoro? Nella tecnica c’è anche il pensiero. Il gesto di fare un’opera è già portatore di un determinato pensiero, di quello che l’artista cerca di dire. Mezzo e contenuto viaggiano insieme. Il pensiero va a braccetto con il mezzo che si utilizza per esprimerlo.
Che cosa comporta il lavoro sull’immagine? Lavorando sulla costruzione dell’immagine, l’idea che avevo all’inizio si amplia e le esigenze tecniche cambiano. A volte ho in mente un’immagine, la voglio disegnare ma si tratta di qualcosa di grossolano. L’immagine che ho è fumosa, è inconsistente perché è un insieme di sensazioni… Nel momento in cui mi metto a disegnare questa inconsistenza muta in qualcosa che tradisce quell’immagine primigenia. Si tratta di continui tradimenti, dovuti anche ai limiti della tecnica, alle mie incapacità di tradurre completamente quel segnale oscuro. Se fosse diverso, non sarebbe arte.
E perché, invece, è arte? Perché c’è qualcosa che rimane non detto, che ti stupisce. Da una immagine si passa a un’altra. Nella mente scattano numerose e inaspettate associazioni. Certo, non si tratta di ritrovare per forza il primo riferimento, ma di poterne offrire delle parvenze, degli aspetti. Da questi si può entrare in una sorta di sistema intuitivo che non riguarda solo chi ha fatto l’opera ma anche chi la potrà fruire.
Il fraintendimento è allora profondamente legato allo stupore e alla possibilità di cambiare strada. Sì, oppure potremmo dire che quel binario di cui parlavamo prima non può che essere tradito. Certo la direzione può essere più o meno impostata. Ma, una volta sulle rotaie, è anche possibile poter continuare a uscire da esso, poterlo guardare da fuori, da sopra, di lato.
Non credi che questa apertura illimitata metta a repentaglio la riuscita del lavoro. Lavorare con le immagini vuol dire anche intrattenere lo sguardo del fruitore, è importante sapersi servire dell’artificio. Non sono interessato a creare immagini che possano ingannare le mosche. Quello che faccio è pittura, non è la realtà. Questo però non vuol dire che il mio obiettivo sia l’inganno. Semmai mi interessa che il mezzo pittorico di cui mi servo possa essere mostrato per quello che è. Il linguaggio pittorico deve in qualche modo poter contenere tutti i linguaggi e le possibilità che esso può offrire. Le immagini devono essere perciò il più possibile comprensibili. Si tratta di trovare un equilibrio.
Come si ottiene questo equilibrio? Forse, prima di tutto, proprio quando ci si stupisce. Il primo a stupirsi sono io, che quando vedo l’immagine finita devo fare delle scelte. La tecnica da questo punto di vista è rivelatrice. La mano al lavoro è un po’ come un sismografo, il gesto di tracciare un segno sulla carta, quello di stendere il colore sulla superficie… un primo equilibrio si crea già in quei momenti in cui ci si misura con la materia. Quando si riconosce la deviazione da quel binario di cui parlavamo prima. Si tratta anche di una questione di alchimia, che forse potrà essere raggiunta anche da chi guarda l’opera.
Pensi che questa alchimia di cui parli si traduca soprattutto nella forma dell’opera? Sì, assolutamente. L’alchimia ha a che fare con il riconoscimento. Non posso sapere cosa vedrà un fruitore, ma posso dire qualcosa sul mio sguardo. A volte mi stupisco proprio perché un lavoro non mi soddisfa per la forma che ha, non lo riconosco. Mi è capitato di essere il peggior giudice del mio lavoro al punto di voler distruggere un dipinto che poi è diventato invece uno dei lavori più apprezzati. L’alchimia si è palesata solo a un certo punto.
www.ettoretripodi.it
EPOARTE / www.espoarte.net / 24.09.2016
ETTORE TRIPODI, STORIE DIPINTE by Matteo Galbiati
Lo Studio d’Arte Cannaviello, nella nuova sede di Milano in piazzetta Bossi, con la mostra dedicata ad Ettore Tripodi (1985) conferma il talento del giovane artista, presentandone una ricca ed ampia successione di opere che compongono un allestimento intenso e coinvolgente.
Le 15 tempere e le 40 opere su carta, infatti, si dispongono sulle pareti alternandosi in una sequenza filmica, quasi una pellicola “cinematografica” ingrandita e dipinta a mano, i cui frame racchiudono e conservano frammenti di quelle micro-storie che la pittura di Tripodi sa raccontare con un segno unico e inconfondibile.
L’eccellenza della tecnica pittorica dell’artista non deve, però, depistare indirizzando lo sguardo su un semplice esercizio di stile che comprova retoricamente il virtuosismo e l’intonazione che in lui sono innati ed ovvi – pare scontato verificarne il valore – ma si deve recepire la forza inventiva della sua immaginazione che spinge sempre oltre i limiti dell’immagine il risultato ultimo che lo sguardo riesce a cogliere nell’esattezza del suo disegno.
Le scene dipinte, che, nonostante l’attualità dell’impronta, sanno evocare l’aura della storia espressa da opere antiche, quasi tratte o ispirate da incunaboli, bestiari, o frammenti di grandi cicli di affreschi, non si perdono nel piccolo formato adottato, al contrario si condensano in una precisione curatissima che coinvolge in una lettura minuziosa. Il nostro occhio percorre i segni e le forme, incontra i personaggi di Tripodi di cui, pur noi consci del paradosso in cui sono calate, comprendiamo un aspetto di comprovata quotidianità.
Osserviamo scene intime e fatti singolari che accadono nel naturale decorrere del tempo del loro racconto, in una successione che, opera dopo opera, fa comprendere il mondo dipinto di Tripodi e ce ne lascia catturare i ritorni, le figure chiave, gli stilemi, i ricorsi. Passando dalle carte ai dipinti su tavola – frutto di una tecnica pittorica che maturata nelle tecniche di creazione antiche – ci rendiamo assuefatti, ma mai paghi, delle sue luci e delle sue atmosfere, delle tonalità dei suoi colori, dell’oniricità delle situazioni.
Tripodi fa comprende appieno il contesto in cui maturano gli accadimenti che riproduce, ci regala personaggi che impariamo a conoscere attraverso cicli differenti per periodo e per tematiche, ma che sanno tornare uniti in un continuo gioco di rimandi e connessioni, perché queste storie dipinte, non si accontentano del proprio contenuto, della loro autonoma forza narrativa, ma si amplificano nell’evocazione che porta la pittoricità dell’artista ad allargare il proprio orizzonte visivo e a toccare, con rimandi e citazioni, il flusso della storia che l’arte, nel tempo degli anni, ha sempre mosso.
Ettore Tripodi. Storie
15 settembre – 29 ottobre 2016
Studio d’Arte Cannaviello
Piazzetta Maurilio Bossi 4, Milano / Orario: dal martedì al sabato 11.00-19.00
Info: +39 02 84084647 / info@cannaviello.net / www.cannaviello.net
Marie Claire Italia / www.marieclaire.it / 14.09.2016
Ettore Tripodi in mostra a Milano by Germano D’Acquisto
Lo Studio d’arte Cannaviello ospita le opere che l’artista trentenne ha realizzato ispirandosi ai dipinti di Villa Farnesina a Roma
Può la pittura dell’Antica Roma ispirare l’arte contemporanea? La domanda, chiaramente retorica, è sì. Lo dimostra la mostra Storie di Ettore Tripodi negli spazi milanesi di Studio d’Arte Cannaviello dove sono esposte 15 tempere su tavola e 40 carte, ispirate proprio ai dipinti di Villa Farnesina a Roma, sontuosa dimora di epoca augustea. Negli spazi espositivi di piazzetta Bossi, passato remoto e presente si incontrano, ammiccano e quindi si fondono per dare corpo (e anima) a un’esibizione che racconta il nostro vivere quotidiano attraverso stile e dinamiche classiche. L’artista 31enne, che ha frequentato il corso di Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, accosta ordinatamente immagini molto diverse tra loro. Le sue opere sono dominate da piccole finestre che si aprono lasciandoci intravedere ambienti intimi. Dentro c’è la vita di tutti i giorni, la luce e soffusa e i soggetti si muovono con estrema naturalezza. A questi lavori si contrappongono poi altre immagini più evocative e oniriche in un continuo alternarsi di frammenti che lentamente vanno a comporre una storia. E i rimandi con l’arte dell’impero romano? La pittura e la stilizzazione ricordano molto quella della Roma antica. Solo l’ambiente che ospita il soggetto appartiene invece al nostro vissuto, con atmosfere sospese, inquiete che ricordano tanto i lavori di Edward Hopper o quelli, più recenti, di Eric Fishl. Le carte invece appartengono a periodi differenti, alcune sono studi a matita per i dipinti, altri lavori autonomi anche molto elaborati, chine e acquerelli che appartengono a cicli di lavori diversi, sempre legati tra loro da una ricchezza evocativa, ricca di citazioni. Un’ultima annotazione: Tripodi, originario di Milano, è tra i fondatori di MammaFotogramma, un gruppo di artisti che si occupa principalmente di arti applicate (video, installazioni, percorsi multimediali, architettura). Uno degli ultimi lavori, tra i più rappresentativi realizzati dallo studio, è stato il tavolo interattivo all’interno del padiglione del Vaticano ad expo 2015.
How to: Storie di Ettore Tripodi, Studio d’Arte Cannaviello di Milano, 15 Settembre – 29 Ottobre
LAMPOON / //lampoon.it / 26.08.2016
REMY UNO X EMILIO PUCCI by Daniela Ambrosio
Un’installazione giocata sui contrasti, un’opera che si colloca tra immagine definita e spazio virtuale: Vortice (Vortex) di Remy Uno introduce la collezione Resort 2017 di Emilio Pucci. Un incontro arte e moda suggellato nella cornice di Palazzo Recalcati, dimora nobiliare di fondazione cinquecentesca ampliata fra il XVII e il XVIII secolo.
Nell’installazione per lo showroom di Emilio Pucci, Remy Uno si ispira a Vortici Print, la stampa ideata dal direttore creativo Massimo Giorgetti per la maison fiorentina. L’artista francese, classe 1978, è nato e cresciuto nella scena della street art di Marsiglia e ha all’attivo numerose mostre personali e collettive, da New York a Caracas, passando per Mosca, Londra e Johannesburg. L’opera si pone in dialogo con gli interni barocchi del Palazzo, dando vita a un caleidoscopio di forme e colori. Vortice (Vortex) è una struttura di specchi e motivi tratti da una delle stampe di Giorgetti, da sempre interessato al mondo dell’arte – nel 2013 ha realizzato una collezione in collaborazione con Toilet Paper, il magazine ideato da Maurizio Cattelan e Pierpaolo Ferrari.
Nella collezione Resort 2017 Giorgetti non tradisce i motivi del marchio, di cui ne studia attentamente gli archivi, ma li rielabora giocando con le asimmetrie, i colori brillanti, le atmosfere anni Cinquanta. Il risultato è un mix di motivi geometrici e stampe ispirate alla natura.
L’installazione parte da un progetto più ampio curato da Valentina Casacchia, storica dell’arte e curatrice dell’Artist Pension Trust di base a Milano. «Il progetto, basato sul concetto dell’anamorfosi, mette in scena un dispositivo ottico e metamorfico che vede la rappresentazione di un’immagine in deformazione prospettica, in modo che la sua visione corretta possa avvenire solo da un punto di osservazione diverso da quello frontale» afferma la curatrice. Per ottenere il punto di vista unico è necessario rimettere insieme tutti i pezzi, dunque la centralità e la prospettiva verisimigliante poggiano su un sistema precario e illusorio basato su opposte polarità: statico-dinamico, reale-virtuale, assoluto e relativo.
An art installation based on contrasts, a piece of art that is in between a defined image and a virtual space: Vortice (Vortex) by Remy Uno introduces the Resort 2017 collection by Emilio Pucci. A combination of art and fashion framed by Palazzo Recalcati, an aristocratic mansion founded in the Sixteenth century and enlarged between the XVII and XVIII century.
In the art installation for Emilio Pucci’s showroom Remy Uno takes inspiration from the Vortici print, a print created by Massimo Giorgetti, creative director of the Florentine maison. The French artist, class 1978, was born and raised in the scene of the Marseilles street art and has been present in many personal and collective exhibitions, from New York to Caracas, through Moscow, London and Johannesburg. The work establishes a dialogue with the baroque interiors of the Palace, creating a kaleidoscope of shapes and colors. Vortice (Vortex) is a structure made of mirrors and motifs that come from one of Giorgetti’s prints. Massimo Giorgetti has always been interested in art, and in 2013 he created a collection collaborating with Toilet Paper, the magazine conceived by Maurizio Cattelan and Pierpaolo Ferrari.
The 2017 Resort collection created by Giorgetti is in line with the motifs of the brand. He carefully studies them from the archives, and he reworks them playing with asymmetries, vivid colors, and fifties atmosphere. The result is a mix of geometric patterns and prints inspired by nature.
The installation is part of a broader project supported by Valentina Casacchia, art historian and curator of the Artist Pension Trust based in Milan. «The project, based on the concept of anamorphosis, puts in scene an optical and metamorphic device that sees the representation of an image in a deformed prospective, in this way the correct vision can come only by an observation point which is different form the frontal one», as the curator says. To obtain the unique point of observation you must put back together all of the pieces, therefore the centrality and the plausible perspective rely on a precarious an false system based on two opposite polarities: static-dynamic, real-virtual, absolute and relative.
Sky Arte / //arte.sky.it / 13.09.2016
La classicità oggi, secondo Ettore Tripodi
Il giovane artista milanese va in mostra nella sua città natale, offrendo al pubblico una panoramica sulla sua produzione pittorica fatta di atmosfere raccolte, scorci onirici e riferimenti all’antico.
È una pittura evocativa e carica di rimandi, quella praticata da Ettore Tripodi, artista meneghino classe 1985, già protagonista di numerose mostre sul territorio italiano. Veri e propri scorci di quotidianità emergono dalle opere del giovane autore, diluite in una dimensione sospesa, vicina a una classicità senza tempo.
Dal 15 settembre al 29 ottobre, lo Studio d’Arte Cannaviello di Milano ospiterà Storie, una raccolta di quindici tempere e quaranta carte realizzate da Tripodi in tempi recenti e ispirate alla pittura della Roma antica, calata, però, in contesti contemporanei e simili all’immaginario inquieto di Hopper e Fischl.
L’ispirazione all’antico si riflette anche nella tecnica con cui sono realizzati i supporti: le tavole di legno, di piccolo formato, sono preparate con gesso e colla di coniglio e dipinte a tempera; data la preparazione della superficie, il pigmento assume così un’opacità molto vicina all’affresco. Le carte, frutto di un lavoro a penna, matita e acquerello, confermano il gioco di rimandi e citazioni messo in campo da Tripodi.
D blog Parole D Arte / www.d.repubblica.it / 12.08.2016
Un pittore di nome Leonor by Valentina Bernabei
Gatti, matite e fantasia. Tra i libri dei compiti per le vacanze destinati ai più piccoli ce ne sarebbe uno da aggiungere: è “Un pittore di nome Leonor”, scritto da Corrado Premuda con le illustrazioni di Andrea Guerzoni (Editoriale Scienza Giunti, 12.90 euro, ora disponibile anche in ebook).
Le novantasei pagine non contengono esercizi (se non quello di ricordare i sogni e disegnarli magari), ma raccontano la storia dell’artista Leonor Fini. Una biografia consigliata ai lettori da 9 anni in su, in cui si scopre subito che la pittrice, nonostante sia nata a Buenos Aires nel 1907 e sia morta a Parigi nel 1996, è cresciuta a Trieste, dove sin da piccola si distinse per la sua originalità.
Leonor trascorse sua infanzia, nel periodo di passaggio dall’ Impero asburgico al Regno d’Italia (il libro è anche un bel ripasso di storia), osservando ciò che accadeva e a trasformandolo in storie da raccontare al suo gatto Cioci e in disegni tanto strampalati quanto talentuosi, che le valsero il primo riconoscimento all’età di 4 anni. Quando divenne adolescente, le stesse storie le condivise con gli intellettuali e amici triestini dell’epoca: da Gillo Dorfles, e Leo Castelli, passando per Arturo Nathan e la casa di Italo Svevo.
Nella sua poliedrica vita non ci fu soltanto la città giuliana e non solo la pittura.
Venne il tempo del primo spostamento a Milano, dove accadde l’episodio che ha dato il titolo al libro. Leonor Fini arrivò in treno da Trieste per dipingere un ritratto di famiglia ma, una volta scesa dal treno, non trovò nessuno ad attenderla, come invece era stato concordato. In stazione non la riconobbero: si aspettavano un uomo, perché il committente si aspettava che un ritrattista bravo fosse uomo.
Seguì il periodo parigino, l’incontro con André Breton, Max Ernst, Henri Cartier-Bresson, tra gli altri; nel libro sono citati anche gli italiani di quell’epoca: Filippo De Pisis (ma lo incontrò in sogno oppure no?), Giorgio de Chirico e Alberto Savinio. Fu nella capitale parigina che, vicina ai surrealisti, debuttò con una mostra personale alla Galerie Bonjean, diretta da Christian Dior quando non era ancora stilista.
Dior non fu l’unico legame dell’artista con la moda. Per Elsa Schiaparelli disegnò la celebre boccetta di profumo modellata sul busto di Mae West, che poi anche Jean Paul Gaultier ripropose negli anni Novanta.
Nel 2009, una citazione del suo celebre olio su tela “Le Bout du Monde” (1948/1949) compare nel video di Madonna “Bedtime Story”, al minuto 1.44.